Tra poco ci attaccheranno gli indiani!!!
Andrea
Ne sono sicuro! Ci hanno teso un’imboscata là, nell’unico punto dove è possibile passare tra le montagne.
Siamo a pochi chilometri di distanza da La Paz, in Baja California Sur, Messico, in un posto incontaminato… incredibile.
Ho viaggiato tanto, nei luoghi ritenuti tra i più remoti del pianeta. E più viaggio più sono alla ricerca di posti unici, di luoghi dove l’uomo non abbia ancora sparso i suoi temibili tentacoli di progresso e distruzione.
Ho visto i fondali del Borneo Malese con coralli distrutti dalla dinamite dei pescatori, ho visto bruciare la spazzatura e la plastica alle Isole Gili in Indonesia, ho visto sparire le uova di tartaruga marina a Lombok, predate dai pescatori che le vendono a 1 centesimo al mercato; ho visto tanti luoghi che dovrebbero essere paradisiaci ridotti in uno stato da far stringere il cuore. Ho avuto tante delusioni in posti che reputavo unici e unici non erano più.
Quando sono arrivato qui, a meno di un’ora di macchina dalla città ho avuto un tuffo al cuore, c’eravamo solo io e Adriano.
Il Toyota ferma sul crinale, laggiù una vallata di cactus; ai lati i colori del ferro rosso, dell’ossidana verde, delle rocce grigie. Alle spalle della vallata, in fondo, come quinte di un teatro immenso, le montagne stratificate, rosa e grigie.
“I cactus tranne alcune eccezioni, crescono molto lentamente, più o meno un centimetro all’anno”, mi dice Adriano mentre mi avvicino a una di queste piante che mi sovrasta di oltre un metro, ne deduco che mi trovo di fronte ad un insieme di cellule che convivono da circa 300 anni.
“Wow”,“Awesome” direbbe un americano. “Ho my god”, o mio dio che nella versione politically correct degli ultimi anni, si è trasformato in un “oh my gosh”, tanto per non avere problemi con le confessioni religiose molto eterogenee degli Stati Uniti di America.
La pianta che ho vicino mi sovrasta con due lunghe braccia e altri 3-4 tentacoli che si protendono verso il sole.
Visto da sotto è bellissimo. Immobile fermo da tre secoli, l’archetipo della pazienza infinita della natura, quella pazienza che a me tante volte manca.
Mentre penso, vedo che nel grande giallo dell’erba secca e del verde degli arbusti e cactus, laggiù nella vallata, stanno muovendosi a passo lento tre cavalli. Sono soli, non hanno marchi né segni distintivi. Il posto più vicino è a qualche decina di chilometri, non ci sono recinti, forse sono cavalli liberi, “selvaggi”.
Fantastico!
Voglio avvicinarmi e scendo giù, mi hanno visto o forse fiutato, si fermano, ma sono ancora a distanza di sicurezza (per loro).
Ogni animale ha, quando si avvicina un essere umano, una distanza minima una “comfort zone” oltre la quale difficilmente si può andare allo scoperto. Il cervo, ad esempio, ti fissa, calcola la distanza e si rimette a brucare. Se superi il limite (di circa 30/40 metri), anche se sta brucando e pensi che ti ignori, che non ti veda perché è lì tranquillo con la testa bassa…fugge via e con lui il resto del gruppo.
Non so quale sia la distanza minima con i cavalli, mi avvicino lento, anche se so che mi hanno già fiutato mi nascondo dietro un cespuglio, avanzo, altro cespuglio. So dove sono ed esco allo scoperto: ci fissiamo per un attimo, scatto una foto.
Penso che ora scapperà via, perché inizia a trotterellare. Invece si allontana con tranquillità. E’ evidente che l’uomo non lo preoccupa più di tanto.
E’ molto interessante vedere il diverso comportamento degli animali in zone del mondo diverso. Gli uccelli della stessa specie, ad esempio, sono poco confidenti in Italia e molto di più in zone dove non sono cacciati.
Ho chiesto ad un esperto ornitologo e mi ha riferito che questo accade per una sorta di trasmissione del carattere di generazione in generazione. Anche se non è mai stata cacciata la generazione successiva ha “innato” il timore dell’uomo cacciatore che ha sparato ai suoi zii, padri e fratelli.
Se sia una spiegazione fondata su basi scientifiche non so, fatto sta che è così…in Messico sono riuscito ad avvicinarmi ad Aironi, Garzette, Nitticore fino quasi a toccarle. Convivevano placidamente sulla spiaggia a pochi passi dai pescatori, probabilmente per nutrirsi degli scarti del pesce pulito, ma certo non hanno provato alcun timore quando mi sono avvicinato a meno di un metro.
Nei vostri viaggi incontrerete ogni genere di persona.
Il purista, quello che ti dice che l’animale va lasciato in pace dov’è e non ci si deve azzardare nemmeno a pensare di avvicinarsi perché si potrebbe turbarlo e compromettere la sua vita futura, se ci fosse il nido l’animale lo abbandonerà e terrorizzato non tornerà mai più e quindi i piccoli moriranno e così facendo avremo contribuito alla distruzione del mondo.
L’equilibrato che ritiene che uomo e animale abbiano convissuto per migliaia di anni e non c’è nessuna ragione per evitare il contatto, se l’animale ha il nido lo si eviterà se l’animale si lascerà avvicinare si potrà godere dell’incontro ravvicinato, se andrà via sarà per un’altra volta.
Il menefreghista che pensa che è inutile essere ipocriti, tanto gli animali noi continuiamo a sfruttarli e soprattutto a mangiarli per cui non c’è ragione per non ribadire la supremazia umana e quindi avanza senza alcun indugio.
Qualsiasi dei tre generi voi apparteniate un solo consiglio.
Evitate quelli delle altre classi.
Il solo pensiero di avere a fianco una delle tre classi che tenta di imporre il proprio pensiero (io appartengo alla seconda), ti rovina tutta l’emozione dell’incontro.
Immerso in questi profondissimi pensieri mi avvicino al cavallo.
Un altro passo.
L’attimo è finito.
E’ tempo per loro di percorrere la Sierra Guadalupe e per me di tornare alla macchina.
Io mi porto via una foto che racconta questa storia, lui chissà.
Sierra Guadalupe, Baja California Sur, Messico, Ottobre 2017
Andrea Izzotti Fotografo
www.andreaizzotti.it