Se immagini un viaggio in Baja California, pensi subito a bellissime spiagge deserte, ad un mare pieno di vita, a distese di cactus che crescono pazientemente sotto il sole del deserto e a rossi tramonti sull’oceano. Ma questo territorio nasconde anche altri tesori segreti, altri paradisi, che riempiono gli occhi di stupore, ti trascinano verso l’avventura, ti fanno vivere esperienze a contatto con la gente del luogo e ti fanno conoscere il loro stile di vita semplice, ritmi di vita scanditi dal sole e da abitudini antiche.
Uno di questi tesori è senz’altro il ciclo di pitture rupestri, meglio conosciute come Cave paintings, veri capolavori d’arte preistorica e Patrimonio Unesco, situate nel cuore segreto della Baja California, il massiccio della Sierra S. Francisco, una delle zone meno battute dal turismo, ma ricca di interesse, non solo artistico.
Bussando alle porte del Paradiso
Il Toyota ci conduce senza indugi fino a 1200 metri di altezza, nella Sierra Centrale della Baja California. Lì ci attende un piccolo villaggio composto da circa 30 famiglie dove il tempo sembra essersi fermato. Isolate nello spazio e dal progresso, queste persone continuano immutatala loro esistenza sulle montagne e nei canyons dove sono nate, gentili ma tenaci, si affidano alla comunità per sopravvivere.
In questo piccolo pueblo, carichiamo l’enorme equipaggiamento sui muli pazienti, dallo sguardo mite e iniziamo a scendere lungo i tortuosi sentieri che ci condurranno al segreto nascosto nel cuore più profondo della Baja California.
Dopo una giornata di cammino, ci fermiamo per la notte. Accendiamo il fuoco. I Californios cucinano sulla fiamma scoppiettante, i loro gesti lenti ed esperti sono accompagnati dalle note di loro vecchie canzoni, canticchiate distrattamente oppure ad alta voce intorno al fuoco. L’atmosfera è magica e il momento si cristallizza in un ricordo perfetto, che non mi lascerà mai più.
Le piccole tende sono già montate sotto un tappeto di stelle. È uno spettacolo che non mi voglio perdere e lascio la porta aperta ad una enorme luna che stanotte illuminerà i miei sogni.
Il mattino arriva presto, molto prima del calore del sole, e si annuncia attraverso il tessuto della tenda. Il caffè caldo mi aiuta a muovere i primi passi della giornata.
I Californios sono in giro a recuperare i muli sparsi tra le rocce di questo immenso canyon. La notte li lasciano liberi di andare a cercare erba ed acqua, nulla li mette in pericolo qui.
È tutto pronto. Saliamo di nuovo sui muli e ci incamminiamo verso il cuore di questa enorme venatura tra le montagne della Baja California, diretti alle caverne che custodiscono le tracce ancora vivide di un remoto passato, incise su muri di pietra dagli antichi abitanti di queste zone: il misterioso popolo dei Cochimi, purtroppo scomparso nel XIX secolo ma che ha lasciato straordinarie testimonianze della sua esistenza.
Dopo pochi chilometri, sento la necessità di isolarmi dal resto della compagnia e chiedo aiuto al mio moderno Ipod. Sento il sole caldo sulle spalle e l’odore forte della natura selvaggia. Compio un gesto consueto: scorro la playlist in cerca della colonna sonora più adatta al momento.
Mama put my guns in the ground I can’t shoot them anymore
Accompagnato dalla musica, mi immergo totalmente in questo scenario primitivo e mi lascio trasportare tra pietre rosa e pozze d’acqua limpida, seguendo le traiettorie dei falchi che volteggiano sopra la mia testa. L’andamento altalenante del mulo mi aiuta a soffermare l’attenzione su ogni fiore nel terreno, ogni farfalla in volo, ogni foglia che sfiora il mio volto. Sto vivendo l’adesso come poche volte nella mia vita, assaporandone tutte le sfumature.
La maestosa bellezza che mi circonda è coronata da enormi cactus, i Cardones, immobili spettatori del lento scorrere delle stagioni e degli anni, e da piccole mammillarie, testimoni della straordinaria resistenza della vita in questo posto magico ed aspro.
Sulle alte pareti del canyon si intuisce lo scorrere di diverse ere che corrispondono al segno lasciato dall’acqua di antichi fiumi.
Nella grotta, ammirando i capolavori dell’arte preistorica
Arrivati dopo circa 4 ore alla prima cueva pintada, ammiriamo le enormi figure umane dipinte, le scene di caccia e addirittura le balene, che testimoniano l’ottima mobilità sul territorio di questo popolo. Pitture che, grazie alla particolare conformazione della roccia, ancora oggi mantengono vividi i colori anche se sono datate tra i 3000 e 4000 anni fa.
Osservando queste immagini mi torna in mente il passo di un libro in cui si diceva che le forme delle pitture rupestri sono state il primo tentativo dell’uomo di fermare nella memoria qualcosa di differente dal pensiero, un modo per tramandare l’immagine di un’esperienza vissuta su qualcosa che fosse al riparo dal tempo. Una forma primitiva di fotografia.
It’s gettin’ dark, too dark to see
Il tempo è un compagno fedelissimo, accompagna ogni nostro momento. A volte scivola via inesorabilmente, senza nemmeno lasciare tracce nella memoria. Altre volte, come per incanto, condensa alcuni istanti di vita in immagini nitide e le imprime nel nostro cuore per sempre. Esattamente come questi uomini primitivi hanno fatto sulla roccia, lasciando di sé una traccia indelebile, sconfiggendo l’oblio cui il tempo li ha condannati.
Allora penso che andare alla ricerca di esperienze uniche e atmosfere magiche e conservarne un’immagine perfetta è forse uno dei modi migliori che abbiamo per sfidare il buio che ci attende.
Knockin on Haven’s Doors
Il sole è ancora alto e arroventa le pietre, il rumore dei passi sicuri di Pietra, l’asina che mi trasporta sulla sua groppa, mi accompagna tra pensieri di libertà e sensazioni di vita profonda.
Grazie Baja, grazie Pietra, grazie Bob.